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Crisi PTSD in Israele: Cosa Fare Per Aiutare i Soldati?

L'aumento esponenziale dei casi di PTSD tra i soldati israeliani richiede un'azione immediata: scopri le cause, le conseguenze e le possibili soluzioni per affrontare questa crisi di salute mentale.
  • Richieste di supporto: 12.000 soldati israeliani dall'ottobre 2023.
  • 43% dei soldati soffre di Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD).
  • Il centro assiste oltre 64.000 soldati, inclusi 8.000 con PTSD.

L’ombra del trauma: Crisi di salute mentale tra i soldati israeliani

Dall’ottobre 2023, con l’intensificarsi del conflitto, il Dipartimento di Riabilitazione del ministero della Difesa israeliano ha registrato un’impennata di richieste di supporto da parte di circa *12.000 soldati. Questo numero allarmante include una consistente percentuale di persone con diagnosi di Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD), evidenziando le profonde cicatrici silenti prodotte dal conflitto. Le statistiche mostrano che circa il 43% di questi soldati soffre di PTSD, mentre il 14% ha riportato lesioni fisiche di varia entità, come traumi cranici, amputazioni e perdita della vista.
La situazione si complica ulteriormente considerando che il 66% dei soldati coinvolti sono riservisti, individui che avevano concluso il servizio militare attivo ma che sono stati richiamati in servizio. L’ex-comandante del Corpo settentrionale dell’esercito israeliano ha evidenziato la gravità della situazione, svelando che dall’inizio delle ostilità sono deceduti oltre 800 soldati e circa 12.000 hanno subito ferite. In aggiunta, si stima che innumerevoli altri abbiano subito un grave trauma emotivo. Un dato particolarmente allarmante è che almeno 1.500 soldati sono stati feriti in due diverse occasioni durante la guerra, sottolineando la natura ricorrente del conflitto e il suo impatto duraturo sulla salute psicofisica dei combattenti.

L’escalation della crisi: Numeri in aumento e risorse insufficienti

Il centro di riabilitazione psichiatrica del ministero della Difesa israeliano ha assistito a una crescita esponenziale dei casi, con circa 6.400 militari presi in carico dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza. Questa cifra triplica il numero totale di veterani feriti assistiti durante tutto il 2022, evidenziando la forza e la dimensione della crisi attuale. Il 21% delle persone curate dal 7 ottobre segnala lesioni alla testa, disturbi da stress post-traumatico o altre forme di sofferenza psicologica. Le proiezioni indicano che nei prossimi anni saranno necessari ulteriori interventi di riabilitazione per migliaia di veterani, tenendo conto dell’evoluzione della guerra e della pressione esercitata dalle operazioni in contesti urbani e dagli scontri a distanza ravvicinata.

Attualmente, il centro assiste più di 64.000 soldati, tra cui 8.000 affetti da disturbi da stress post-traumatico. Per far fronte a questa crescente domanda, il servizio sanitario militare israeliano ha inaugurato un nuovo centro di assistenza per la salute mentale, che include anche un ambulatorio specializzato nella cura dei traumi post-bellici, composto da esperti civili. Tuttavia, nonostante questi sforzi, molti soldati non ottengono le cure necessarie, sia a causa dei pregiudizi esistenti nei confronti delle patologie mentali, sia per l’inadeguatezza delle risorse disponibili nelle istituzioni militari.

Testimonianze dal fronte: Orrori indicibili e dilemmi morali

I soldati israeliani che hanno combattuto a Gaza hanno condiviso testimonianze toccanti, rivelando gli orrori a cui hanno assistito e il peso psicologico che portano con sé. Eliran Mizrahi, un riservista dell’esercito israeliano, è tornato dal fronte traumatizzato da ciò cui aveva assistito nella guerra contro Hamas nella Striscia. Sei mesi dopo essere stato mandato per la prima volta in battaglia, era a casa, alle prese con la sindrome da stress post-traumatico (PTSD). La sua famiglia ha raccontato alla CNN che non era più lo stesso dopo essere tornato, e che “Gaza non ha lasciato lui”.

Guy Zaken, un altro soldato che ha combattuto a Gaza, ha descritto scene raccapriccianti a cui ha assistito dal suo bulldozer, affermando di non poter più mangiare carne perché gli ricorda le immagini di corpi sparsi ovunque. Un medico dell’esercito israeliano, che ha preferito restare anonimo, ha rivelato che molti soldati si trovano di fronte a dilemmi morali quando incontrano civili sul campo di battaglia. Nonostante l’esercito israeliano affermi di fare tutto il possibile per ridurre al minimo il numero di vittime civili, le testimonianze dei soldati suggeriscono che l’impatto sulla salute mentale a Gaza è enorme.

La battaglia interiore: Un nemico invisibile e le sue conseguenze

La crisi della salute mentale che affligge i soldati israeliani non è solo il risultato del conflitto attuale, ma si intreccia con un’altra forma di trauma che ha radici profonde nella storia del Paese: il dolore ereditato dall’Olocausto. Per molti israeliani, il ricordo dell’Olocausto è una presenza costante, un’ombra che aleggia su ogni aspetto della vita quotidiana. Questo trauma si trasmette attraverso le generazioni, influenzando profondamente la mentalità collettiva e creando un terreno fertile per la crisi della salute mentale.

La lotta interiore: un avversario silente e le sue ripercussioni. La crisi di salute mentale che colpisce i soldati israeliani non è semplicemente una conseguenza del conflitto odierno, ma è legata a un’altra forma di trauma, le cui radici affondano nella storia nazionale: la sofferenza tramandata dalla Shoah.

Per innumerevoli israeliani, la memoria della Shoah persiste in modo ininterrotto, una pervasiva influenza che plasma ogni sfaccettatura del loro quotidiano.

Le conseguenze di questa crisi non si limitano ai singoli soldati, ma si estendono a tutta la società israeliana. I soldati danneggiati mentalmente portano il peso della guerra anche nella vita civile, alimentando tensioni sociali e un crescente senso di alienazione tra coloro che hanno sacrificato la propria salute mentale per la difesa del Paese. È fondamentale che il governo israeliano e l’IDF riconoscano la gravità della situazione e forniscano un supporto psicologico tempestivo ed efficace ai soldati in difficoltà.
I militari segnati psicologicamente trasportano le difficoltà della guerra anche nella quotidianità, esacerbando le tensioni sociali e favorendo un sentimento crescente di isolamento tra coloro che hanno sacrificato il proprio equilibrio psichico per la salvaguardia della nazione.

Eliran Mizrahi, un riservista delle forze armate israeliane, è rientrato dal fronte profondamente scosso da ciò a cui aveva assistito durante il conflitto contro Hamas nella Striscia.

Dopo soli sei mesi dal suo primo impiego in battaglia, si trovava a casa, lottando contro la sindrome da stress post-traumatico (PTSD).

Tuttavia, nonostante questi sforzi, un elevato numero di soldati non riceve l’assistenza di cui avrebbe bisogno, sia per lo stigma sociale che circonda le malattie mentali, sia per l’inadeguatezza delle risorse all’interno delle strutture militari.

Oltre il fronte: Guarire le ferite invisibili

La crisi di salute mentale tra i soldati israeliani è un campanello d’allarme che non possiamo ignorare. È essenziale riconoscere che la guerra lascia cicatrici profonde, non solo fisiche ma anche psicologiche, che richiedono un’attenzione e una cura adeguate.

Un concetto base di psicologia cognitiva che si applica a questa situazione è quello di “schema”. Gli schemi sono strutture mentali che organizzano la nostra conoscenza del mondo e influenzano il modo in cui interpretiamo le nuove informazioni. Le esperienze traumatiche, come quelle vissute in guerra, possono alterare profondamente gli schemi di un individuo, portando a pensieri, emozioni e comportamenti disfunzionali.

Un concetto avanzato* è quello di “neuroplasticità”. La neuroplasticità si riferisce alla capacità del cervello di modificarsi e adattarsi in risposta all’esperienza. Questo significa che, anche dopo un trauma, è possibile riorganizzare i circuiti neurali e sviluppare nuove strategie di coping. La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) sono due approcci terapeutici che sfruttano la neuroplasticità per aiutare le persone a superare il PTSD.

Riflettiamo: cosa possiamo fare, come società, per sostenere i nostri soldati e aiutarli a guarire le ferite invisibili della guerra? Come possiamo creare un ambiente in cui sia sicuro e accettabile chiedere aiuto, senza timore di stigma o giudizio? La risposta a queste domande è fondamentale per costruire un futuro più sano e resiliente per tutti.


Articolo e immagini generati dall’AI, senza interventi da parte dell’essere umano. Le immagini, create dall’AI, potrebbero avere poca o scarsa attinenza con il suo contenuto.(scopri di più)
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