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- 7 studenti su 10 sentono forte pressione sui risultati scolastici.
- Stanziati 1.8 milioni di euro per supporto psicologico negli atenei.
- Aumento di depressione, ansia e abuso di sostanze post-pandemia.
Il disagio psicologico nel mondo accademico
Il panorama universitario italiano, baluardo di sapere e fucina di talenti, si confronta con una problematica sempre più pressante: il crescente malessere psicologico tra gli studenti. L’ansia da performance, il burnout accademico e le pressioni sociali sono diventati fardelli invisibili che gravano sul benessere dei giovani, talvolta sfociando in conseguenze estreme. In questo contesto, l’allocazione di 1.8 milioni di euro da parte delle regioni rappresenta un segnale potenzialmente positivo, ma suscita interrogativi fondamentali: saranno sufficienti tali risorse per fronteggiare efficacemente queste problematiche? E come verranno impiegati questi fondi per assicurare un sostegno concreto ed accessibile a tutti gli studenti, in particolare a quelli più vulnerabili?
La vita universitaria è un crogiolo di sfide: la competizione per i voti, il timore di deludere le aspettative familiari e sociali, l’incertezza del futuro professionale. Un’indagine condotta nel 2023 ha rivelato che ben 7 studenti su 10 avvertono una forte pressione esterna in relazione ai loro risultati scolastici, e per oltre un terzo di essi questa pressione è una costante quotidiana. L’ansia da performance si manifesta con sintomi quali insonnia, irritabilità, fino a culminare in attacchi di panico e, in situazioni estreme, nel ricorso alla menzogna per celare le difficoltà.
Parallelamente, si manifesta il fenomeno del burnout accademico, una condizione di esaurimento emotivo, fisico e mentale generata dal carico eccessivo di studio e dalla carenza di motivazione. Sebbene alcuni studiosi pongano in discussione l’applicazione del termine “burnout” al contesto studentesco, è innegabile che un numero considerevole di universitari si senta sopraffatto, demotivato e incapace di gestire le esigenze del percorso accademico. Tale dinamica può innescare un incremento nel tasso di abbandono degli studi, come evidenziato da recenti analisi.
Alcune ricerche, tra cui uno studio pubblicato dal National Institute of Health nel maggio 2023, si sono concentrate sul “burnout accademico” tra gli studenti universitari, mettendo in luce come la pandemia da COVID-19 abbia acuito questa problematica. Il periodo di *isolamento forzato*, per esempio, ha parrebbe aver esacerbato sentimenti di timore, apprensione, collera e solitudine negli iscritti alle facoltà.
Nonostante ciò, un sondaggio condotto tra gli studenti universitari ha rivelato che più della metà degli intervistati ha ammesso di aver mentito almeno una volta riguardo al proprio rendimento accademico. Per alcuni, questa pratica è diventata un’abitudine consolidata, un sintomo del disagio e della pressione che vivono quotidianamente.

Stanziamenti regionali: luci, ombre e interrogativi
Di fronte a questa situazione di emergenza, le regioni italiane hanno destinato complessivamente 1.8 milioni di euro al potenziamento dei servizi di supporto psicologico negli atenei. Tuttavia, la trasparenza sull’effettivo impiego di tali risorse appare ancora limitata. È essenziale comprendere se i fondi verranno allocati a interventi basati su evidenze scientifiche.
La terapia cognitivo-comportamentale (TCC), ad esempio, si è dimostrata efficace nel trattamento dell’ansia e della depressione negli studenti universitari, aiutandoli a identificare e modificare pensieri e comportamenti disfunzionali che alimentano il disagio. Parallelamente, i programmi di mindfulness, promuovendo la consapevolezza del momento presente, possono ridurre in modo significativo lo stress e migliorare il benessere psicologico. Uno studio pubblicato su State of Mind ha evidenziato come la mindfulness possa avere un impatto positivo sul rendimento degli studenti, diminuendo l’ansia e potenziando la concentrazione.
Parallelamente, è imperativo assicurare che i servizi siano accessibili a tutti gli studenti, senza distinzioni di genere, orientamento sessuale o provenienza geografica. Gli studenti LGBTQ+, ad esempio, possono affrontare ulteriori difficoltà correlate alla discriminazione e all’isolamento, incrementando il rischio di problematiche di salute mentale.
Infatti, uno degli aspetti più critici è l’accessibilità ai servizi di supporto psicologico per gli studenti appartenenti alla comunità LGBTQ+. Questi studenti possono trovarsi a fronteggiare sfide uniche, come la discriminazione, l’omofobia e la transfobia, che possono avere un impatto significativo sulla loro salute mentale. È quindi fondamentale che i servizi universitari siano inclusivi e sensibili alle esigenze specifiche di questa popolazione, offrendo un ambiente sicuro e accogliente dove possano sentirsi compresi e supportati.
Inoltre, è necessario considerare le differenze culturali e linguistiche che possono influenzare l’accesso ai servizi per gli studenti stranieri. Le barriere linguistiche e le difficoltà di adattamento a un nuovo ambiente possono rendere più difficile per questi studenti cercare aiuto e supporto. Pertanto, le università dovrebbero implementare programmi di supporto linguistico e culturale, nonché servizi di consulenza specifici per gli studenti internazionali.
Iniziative universitarie e necessità di un approccio strutturato
Diverse università italiane stanno iniziando ad affrontare il problema della salute mentale studentesca. L’Università di Padova, ad esempio, ha attivato un servizio di supporto psicologico che ha ricevuto un elevato numero di richieste di aiuto. L’Università Ca’ Foscari Venezia ha promosso laboratori di musica creativa per combattere lo stress da studio. Ciononostante, queste iniziative risultano ancora troppo isolate e spesso inadeguate a soddisfare la crescente domanda di supporto psicologico. Come riportato da Il Bo Live, numerosi atenei hanno registrato un aumento delle richieste di assistenza dopo la pandemia, mettendo a dura prova i servizi esistenti e generando lunghe liste d’attesa.
L’incremento delle istanze di assistenza psicologica ha messo a dura prova le strutture di supporto negli atenei di tutta la penisola, con la maggior parte degli istituti che ha ampliato, o è in procinto di ampliare, la propria offerta di servizi.
Per svariati atenei, fronteggiare questo picco di domande si è rivelato arduo, portando talvolta a prolungati periodi di attesa per gli studenti.
Alcune università si sono trovate nell’impossibilità di soddisfare tutte le richieste ricevute e, di conseguenza, stanno attivando nuove collaborazioni o incrementando le risorse e le tipologie di servizi proposti.
È imprescindibile una trasformazione dell’atteggiamento nei confronti della cura della salute mentale tra le nuove generazioni, superando la tendenza a marchiare negativamente queste problematiche e l’esigenza di cercare aiuto.
In alcune circostanze, si è provveduto a migliorare la gamma di servizi psicologici messi a disposizione dagli atenei e la loro diffusione tra gli iscritti.
Rispetto al periodo antecedente la pandemia, si è riscontrato un aumento dei livelli di depressione, ansia, problematiche comportamentali e abuso di sostanze.
Stando a quanto riportato dai media, circa la metà degli studenti che sperimentano stress trova nei mezzi di comunicazione una sorgente addizionale di turbamento.
Ad essere sotto accusa, in particolare, sono i racconti di successo che compaiono frequentemente sui giornali e sui siti web.
Si tratta di narrazioni che hanno come protagonisti giovani talenti, individui eccezionali per rendimento e precocità.
Ebbene, valutando pro e contro di tali resoconti, nella mente degli studenti prevalgono gli aspetti negativi: se per alcuni intervistati rappresentano un incentivo a impegnarsi maggiormente, per altri non fanno che acuire il senso di frustrazione.
I rimanenti interpellati manifestano un atteggiamento di indifferenza, non percependo né vantaggi né svantaggi.
Verso un cambiamento culturale e strutturale
Se da un lato gli stanziamenti regionali costituiscono un passo avanti nella giusta direzione, dall’altro si rende necessario un cambiamento culturale più ampio per affrontare le cause profonde del problema. È fondamentale promuovere un ambiente universitario più inclusivo e accogliente, in cui gli studenti si sentano liberi di esprimere le proprie difficoltà senza il timore di essere giudicati. Occorre sensibilizzare il corpo docente e il personale amministrativo sulla questione della salute mentale degli studenti, fornendo loro gli strumenti per riconoscere i segnali di disagio e offrire un supporto adeguato.
In ultima analisi, è essenziale investire nella prevenzione, promuovendo programmi di educazione alla salute mentale che insegnino agli studenti a gestire lo stress, sviluppare la resilienza e prendersi cura del proprio benessere psicologico. Solo un approccio olistico, che tenga conto degli aspetti individuali, sociali e istituzionali, può garantire un miglioramento duraturo della salute mentale degli studenti universitari. Le risorse economiche stanziate dalle regioni rappresentano un punto di partenza, ma il percorso da intraprendere è ancora lungo e richiede un impegno costante da parte di tutti gli attori coinvolti.
È necessario considerare che il burnout accademico non è semplicemente una questione di sovraccarico di studio, ma può essere influenzato da fattori come la mancanza di autonomia, il perfezionismo e la scarsa autostima. Pertanto, gli interventi di supporto psicologico dovrebbero mirare a promuovere l’autoefficacia, la resilienza e la capacità di gestire le emozioni negative.
Inoltre, è importante creare un ambiente universitario che valorizzi il benessere degli studenti al di là del rendimento accademico. Ciò significa promuovere attività sociali, culturali e sportive, nonché offrire opportunità di volontariato e impegno civico. In questo modo, gli studenti possono sviluppare un senso di appartenenza e di scopo, che può contribuire a proteggerli dallo stress e dal burnout.
Il Futuro del Benessere Mentale Universitario: Un Approccio Olistico
Amici, riflettiamo un attimo su quanto abbiamo discusso. Abbiamo visto come l’ansia da prestazione, il burnout e le pressioni sociali stiano erodendo il benessere dei nostri studenti universitari. Ma cosa possiamo fare, concretamente, per invertire questa tendenza?
Partiamo da un concetto base di psicologia cognitiva: i nostri pensieri influenzano le nostre emozioni e i nostri comportamenti. In altre parole, se impariamo a gestire i nostri pensieri negativi e auto-sabotanti, possiamo ridurre l’ansia e migliorare il nostro umore. La TCC, di cui abbiamo parlato, si basa proprio su questo principio.
Ma andiamo oltre. Un concetto più avanzato è quello di flessibilità psicologica. Non si tratta solo di eliminare i pensieri negativi, ma di imparare ad accettarli e a conviverci, senza che ci impediscano di agire in linea con i nostri valori. Significa essere capaci di adattarsi alle diverse situazioni, di affrontare le sfide con resilienza e di trovare un significato anche nelle difficoltà.
Ecco perché è così importante promuovere un cambiamento culturale nelle università. Dobbiamo creare un ambiente in cui gli studenti si sentano liberi di esprimere le proprie emozioni, di chiedere aiuto quando ne hanno bisogno e di coltivare il proprio benessere a 360 gradi. E questo non riguarda solo gli studenti, ma anche i docenti, il personale amministrativo e l’intera comunità accademica.
Allora, vi invito a riflettere: cosa possiamo fare, nel nostro piccolo, per contribuire a questo cambiamento? Forse possiamo iniziare ascoltando con più attenzione i nostri amici e colleghi, offrendo il nostro supporto a chi ne ha bisogno, o semplicemente parlando apertamente delle nostre difficoltà. Ogni piccolo gesto può fare la differenza.
- Studio sull'inventario del burnout scolastico (SBI) su studenti italiani.
- Finanziamenti ministeriali per il supporto psicologico negli atenei italiani.
- Studio del National Institute of Health sul burnout accademico negli studenti.
- Studio del National Institute of Health sul burnout accademico durante la pandemia.