E-Mail: [email protected]
- Il congresso Sife critica le terapie tradizionali per il PTSD.
- L'Esposizione Prolungata (PE) può causare reazioni di panico.
- ACT, DBT e terapia metacognitiva offrono approcci personalizzati.
- La Terapia Metacognitiva modifica le credenze sui pensieri.
- Un approccio integrato promuove resilienza e crescita personale.
Trauma bellico e fissazione esterna: il Congresso Sife al centro della riflessione
Il recente Congresso della Società Italiana Fissazione Esterna (Sife) ha sollevato questioni cruciali riguardo alla gestione del trauma bellico, un tema di grande rilevanza nella società contemporanea, segnata da conflitti e crisi umanitarie. L’evento ha posto l’accento sulla necessità di superare le terapie tradizionali, spesso limitate e potenzialmente dannose, a favore di approcci più innovativi e personalizzati, basati sui principi della psicologia cognitiva e comportamentale. La connessione tra lesioni fisiche e cicatrici psicologiche è un aspetto centrale, troppo spesso trascurato nel trattamento dei reduci di guerra e delle vittime di conflitti armati.
Il trauma bellico non si limita alle ferite visibili, ma si estende a una profonda sofferenza interiore che necessita di cure specifiche e mirate. Il congresso ha evidenziato l’importanza di un approccio olistico, capace di integrare la riabilitazione fisica con il supporto psicologico, per favorire una vera e propria ricostruzione della persona. Questo cambio di paradigma è fondamentale per garantire un futuro migliore a chi ha subito le conseguenze devastanti della guerra. Le implicazioni del trauma bellico si estendono ben oltre la sfera individuale, influenzando la salute mentale delle comunità e le dinamiche sociali. La Sife, con questo congresso, ha voluto stimolare una riflessione più ampia sul tema, coinvolgendo esperti di diverse discipline e sensibilizzando l’opinione pubblica.
La guerra lascia segni indelebili non solo sui corpi, ma anche nelle menti e nei cuori di chi la vive. Le immagini cruente, le esperienze traumatiche e la perdita di persone care possono generare disturbi psicologici profondi e duraturi. L’ansia, la depressione, gli attacchi di panico e il disturbo da stress post-traumatico (Ptsd) sono solo alcune delle conseguenze che possono manifestarsi in seguito a un evento bellico. Questi disturbi possono compromettere la qualità della vita, le relazioni interpersonali e la capacità di svolgere le normali attività quotidiane. È pertanto fondamentale offrire un sostegno psicologico adeguato a chi ha subito un trauma bellico, per aiutarlo a elaborare l’esperienza, superare le difficoltà e ritrovare un senso di normalità.
Analisi critica delle terapie tradizionali: esposizione prolungata e emdr
L’Esposizione Prolungata (Pe)* e l’*Emdr (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) sono due delle terapie più utilizzate per il trattamento del Ptsd, ma la loro efficacia e appropriatezza sono state oggetto di dibattito durante il congresso. La Pe consiste nell’esporre ripetutamente il paziente al ricordo traumatico, al fine di desensibilizzarlo e ridurre l’ansia associata all’evento. L’Emdr, invece, utilizza movimenti oculari o altre forme di stimolazione bilaterale durante il ricordo del trauma, per facilitare l’elaborazione emotiva e la riorganizzazione cognitiva.
Nonostante il loro ampio utilizzo, queste terapie presentano dei limiti e dei potenziali effetti negativi, soprattutto in pazienti con traumi complessi, disturbi dissociativi o difficoltà di regolazione emotiva. In questi casi, l’esposizione diretta al ricordo traumatico può innescare reazioni di panico, flashback intensi, aumento della dissociazione e persino rivittimizzazione. La validità scientifica dell’Emdr è stata messa in discussione da alcuni studi, che suggeriscono che la stimolazione bilaterale potrebbe non essere essenziale per ottenere risultati positivi. Inoltre, entrambe le terapie si concentrano prevalentemente sull’elaborazione del ricordo traumatico, trascurando spesso altri aspetti fondamentali del Ptsd, come i pensieri disfunzionali, i comportamenti di evitamento, le difficoltà relazionali e la perdita di significato nella vita.
Nel contesto del trattamento del trauma bellico, è essenziale considerare la complessità e la specificità di ogni singolo caso. I reduci di guerra e le vittime di conflitti armati possono presentare una vasta gamma di sintomi e disturbi, che richiedono un approccio terapeutico personalizzato e flessibile. Le terapie tradizionali, come la Pe e l’Emdr, potrebbero non essere adatte a tutti i pazienti, e in alcuni casi potrebbero addirittura risultare dannose. È quindi fondamentale che i professionisti della salute mentale siano consapevoli dei limiti e dei potenziali rischi di queste terapie, e che siano in grado di offrire alternative più efficaci e sicure.
Approcci innovativi basati sulla psicologia cognitiva e comportamentale

Di fronte alle criticità delle terapie tradizionali, il congresso Sife ha promosso l’adozione di approcci innovativi basati sulla psicologia cognitiva e comportamentale, come l’Act (Acceptance and Commitment Therapy)*, la **Dbt (Dialectical Behavior Therapy)** e la *Terapia Metacognitiva. Questi approcci si caratterizzano per una maggiore flessibilità, personalizzazione e attenzione al contesto individuale del paziente, promuovendo al contempo l’accettazione del trauma come parte integrante della propria storia personale e lo sviluppo di strategie di coping adattive.
L’Act si basa sull’accettazione degli eventi interni (pensieri, emozioni, sensazioni) senza giudizio e sull’impegno verso azioni che siano in linea con i propri valori. Nel contesto del trauma bellico, l’Act aiuta i pazienti ad accettare il dolore e la sofferenza come parte inevitabile dell’esperienza umana, senza cercare di evitarli o sopprimerli. Allo stesso tempo, l’Act incoraggia i pazienti a identificare i propri valori fondamentali e ad agire concretamente per realizzarli, nonostante la presenza del trauma. La Dbt, invece, combina tecniche di mindfulness, regolazione emotiva, tolleranza alla frustrazione e abilità interpersonali. La Dbt è particolarmente efficace nel trattamento di pazienti con disregolazione emotiva, impulsività e comportamenti autolesionistici, spesso presenti in persone che hanno subito traumi complessi.
La Terapia Metacognitiva si concentra sulle credenze relative ai propri pensieri e processi cognitivi. I pazienti traumatizzati spesso sviluppano credenze disfunzionali sui propri pensieri intrusivi e mettono in atto strategie di controllo del pensiero controproducenti che, paradossalmente, aumentano la frequenza e l’intensità dei pensieri negativi. La terapia metacognitiva aiuta i pazienti a identificare e modificare queste credenze disfunzionali, promuovendo una maggiore consapevolezza e controllo sui propri processi cognitivi. L’integrazione di questi approcci con la mindfulness e altre tecniche di auto-regolazione emotiva può favorire un recupero più completo e duraturo. La mindfulness, ad esempio, aiuta i pazienti a sviluppare una maggiore consapevolezza del momento presente, senza giudizio, riducendo l’impatto dei pensieri intrusivi e delle emozioni negative.
Verso un approccio integrato e umanistico alla cura del trauma
Il congresso della Sife ha sottolineato la necessità di un approccio integrato e umanistico alla cura del trauma bellico, che tenga conto della complessità e della specificità di ogni singolo individuo. La riparazione fisica delle ferite rimane una priorità assoluta, ma è altrettanto fondamentale riconoscere e trattare le conseguenze psicologiche del trauma, adottando approcci terapeutici basati sull’evidenza e orientati alla persona. Abbandonare la rigidità delle terapie tradizionali e abbracciare l’innovazione della psicologia cognitiva, comportamentale e metacognitiva è un passo necessario per offrire ai reduci di guerra e alle vittime di conflitti armati il supporto di cui hanno bisogno per ricostruire le loro vite, ritrovare un senso di significato e speranza nel futuro.
Solo attraverso un approccio olistico e compassionevole, che tenga conto delle esigenze specifiche di ogni singolo individuo, sarà possibile trasformare le cicatrici del trauma in feritoie di luce, capaci di illuminare un nuovo cammino di resilienza e crescita personale. È necessario promuovere una cultura della consapevolezza e della sensibilità nei confronti del trauma bellico, per combattere lo stigma e favorire l’accesso alle cure. I professionisti della salute mentale, i familiari, gli amici e la comunità nel suo complesso possono svolgere un ruolo fondamentale nel sostenere chi ha subito un’esperienza traumatica e aiutarlo a ritrovare un senso di appartenenza e di speranza. La cura del trauma bellico è una sfida complessa e impegnativa, ma è anche un dovere morale nei confronti di chi ha sacrificato la propria salute fisica e mentale per difendere i valori e gli ideali in cui crede.
Un nuovo orizzonte per la cura del trauma
È chiaro che il trattamento del trauma bellico richiede un approccio che vada oltre le tecniche standardizzate. La terapia deve essere un percorso personalizzato, un viaggio condiviso tra terapeuta e paziente, in cui si esplorano le specificità dell’esperienza traumatica e si costruiscono strategie di coping su misura. Questo implica una profonda comprensione delle dinamiche psicologiche, sociali e culturali che influenzano la risposta al trauma, nonché la capacità di adattare le tecniche terapeutiche alle esigenze individuali. Immagina la psicologia cognitiva come un navigatore interiore: ti aiuta a riconoscere i pensieri distorti che il trauma ha impresso nella tua mente, pensieri che ti fanno vedere la realtà in modo negativo e che alimentano la tua sofferenza. Con l’aiuto di un professionista, puoi imparare a ristrutturare questi pensieri, a sostituirli con convinzioni più realistiche e positive, che ti permettano di affrontare le sfide della vita con maggiore serenità.
Se volessimo spingerci oltre e immaginare uno scenario di avanguardia, potremmo pensare a un approccio di tipo metacognitivo: non si tratta solo di cambiare i pensieri, ma di cambiare il modo in cui pensi ai tuoi pensieri. Ad esempio, potresti aver sviluppato la credenza che avere pensieri intrusivi sia segno di pazzia. La terapia metacognitiva ti aiuterebbe a comprendere che i pensieri intrusivi sono normali, soprattutto dopo un trauma, e che non devi necessariamente reagire ad essi. Imparando a decentrarti dai tuoi pensieri, potrai ridurre l’ansia e il controllo che esercitano sulla tua vita. Non dimentichiamoci mai: la mente umana ha una capacità sorprendente di guarigione, e con il giusto supporto possiamo tutti trovare la forza di superare le avversità e costruire un futuro migliore.